
Cosa si intende per “colonialismo dei rifiuti”
Lo subiscono molti paesi fra i più poveri del mondo: fra le conseguenze c’è la proliferazione del lavoro minorile
Alla periferia di Accra, la capitale del Ghana, c’è la più grande discarica di rifiuti elettronici al mondo, quella di Agbogbloshie. Nel corso degli ultimi anni nella gigantesca discarica sono stati accumulati centinaia di milioni tonnellate di rifiuti provenienti per la grandissima parte dall’Europa, importati legalmente e illegalmente. Spesso si tratta di rifiuti pericolosi: nonostante la Convenzione di Basilea definisca «criminale» il traffico di rifiuti pericolosi verso i paesi in via di sviluppo, non è difficile aggirare le norme. La Convenzione infatti stabilisce un’eccezione per i rifiuti elettronici che saranno riparati subito dopo l’arrivo. Basta definire i rifiuti come «elettronica di seconda mano» per eludere i controlli per far entrare i container nel paese.
La discarica di Agbogbloshie è un esempio di quello che può essere definito “colonialismo dei rifiuti”, il fenomeno per cui i paesi ricchi esportano i propri rifiuti, spesso pericolosi o tossici, verso i paesi del sud del mondo, approfittando delle necessità economiche di questi ultimi. Di fatto i paesi del nord del mondo trasferiscono i propri problemi di gestione dei rifiuti ai paesi più poveri, che non soltanto non hanno accesso economico a molti beni di consumo, ma si trovano costretti a gestirli come rifiuti, a gestire cioè le conseguenze negative sull’ambiente e sulla salute dell’iperproduzione consumistica.

I rifiuti che arrivano nelle discariche come quella di Agbogbloshie, in molti casi anche pericolosi, sono prodotti anche in Italia, o comunque transitano dal nostro paese. Negli ultimi anni ci sono stati diversi sequestri di container con all’interno tonnellate di rifiuti speciali diretti in Ghana. Nei primi cinque mesi del 2024 l’ufficio delle Dogane di Genova ha bloccato otto spedizioni di rifiuti illeciti diretti in Africa, per un totale di 233 tonnellate: si trattava, tra gli altri, di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche provenienti da magazzini del nord Italia e sigillati all’interno di container pronti per essere imbarcati nel porto di Genova Sampierdarena.
Nella discarica di Agbogbloshie vecchi computer, telefoni, televisori, ma anche migliaia di friggitrici ad aria (novità degli ultimi anni ma già finite nel ciclo dello smaltimento) vengono smontati per recuperare materiali come alluminio e rame. Talvolta i rifiuti vengono bruciati e con la combustione rilasciano fumi composti da agenti chimici altamente tossici e cancerogeni. A compiere queste operazioni sono spesso ragazzi e ragazze, ma anche bambini e bambine, costretti a lavorare per aiutare le proprie famiglie nel sostentamento. Guadagnano recuperando parti metalliche che vengono rivendute per l’equivalente di pochi centesimi di euro: si garantiscono così una sorta di sostentamento quotidiano. Il lavoro nella discarica impedisce ai giovani di frequentare la scuola, e li costringe a esporsi a tossine potenzialmente molto pericolose per la loro salute.
La drammaticità di questa situazione è stata documentata dal videomaker Giuseppe Bertuccio D’Angelo, autore del “Progetto Happiness”, che racconta diverse parti del mondo (soprattutto quelle dove è più difficile vivere) per cercare di capire cos’è la felicità per le persone che ci vivono. In una scena del video uno dei bambini che raccolgono i metalli racconta come nella discarica sia facile ferirsi, ma che comunque bisogna sempre tornare al lavoro. «Ogni volta che vengo in questo posto vorrei che io e i miei amici non lavorassimo più – racconta – Vorrei andare a scuola e da grande diventare un calciatore». Come spiega D’Angelo «un bambino che oggi lavora nella discarica domani sarà un adulto che continuerà a farlo».
D’Angelo ha realizzato questo reportage in collaborazione con ActionAid, associazione internazionale che si batte con progetti mirati per combattere la povertà, le disuguaglianze e l’esclusione sociale, e per garantire i diritti fondamentali, in Italia e nel mondo. Nel video sulla discarica di Agbogbloshie, D’Angelo racconta anche le condizioni di lavoro all’interno del sito e come si vive nel grande sobborgo (di quasi 40mila abitanti) costruito sopra alla discarica. D’Angelo intervista diversi lavoratori della discarica, fra le più inquinate al mondo, fra cui diversi ragazzi e bambini che raccontano le loro storie: sono costretti a lavorare lì per sopravvivere.
A cercare di fare la differenza in questi territori è però proprio ActionAid, e infatti D’Angelo ha incontrato i bambini e le bambine che studiano in una scuola di Accra realizzata grazie alle adozioni a distanza raccolte da ActionAid. Bambini e bambine che non frequentano più la discarica.
Grazie alle donazioni ActionAid riesce infatti a fare in modo che molti bambini e bambine vadano a scuola: lo fa coprendo le rette scolastiche, ma anche offrendo un pasto gratis e acqua potabile. Di fatto le famiglie hanno un pasto assicurato per il proprio figlio o figlia: se mandarli a lavorare in discarica serve a far racimolare pochi spicci per mangiare, offrire un pasto gratis in una scuola diventa un incentivo alla frequenza. Il lavoro in discarica non è più essenziale per il loro sostentamento, e le famiglie quindi sono spinte a mandare i bambini e le bambine a scuola.
Inoltre ActionAid finanzia programmi di formazione professionale per gli adulti (soprattutto per le donne), affinché le famiglie possano contare su un reddito stabile e non siano costrette a far lavorare i propri figli per sopravvivere. Il lavoro di ActionAid consiste anche nel sensibilizzare le comunità sul valore dell’istruzione e sui danni del lavoro minorile.
La collaborazione con D’Angelo ed ActionAid ha permesso di raccontare anche altre zone del mondo in cui i bambini e le bambini sono sfruttati: le fabbriche di moda fast fashion in Bangladesh e le miniere di diamanti in Sierra Leone, dove, come in Ghana, ActionAid è presente con le sue scuole e le sue case rifugio. A Dhaka, in Bangladesh, D’Angelo racconta le dure condizioni di lavoro, soprattutto dei minori, all’interno di fabbriche che producono i vestiti a buon mercato che finiscono nei nostri negozi, e che spesso indossiamo anche noi. A Koidu, in Sierra Leone, il videomaker ricostruisce la storia recente del paese in cui c’è stata una decennale guerra civile che si è alimentata anche grazie al mercato dei diamanti. Ancora oggi, spesso ragazzi e ragazze, bambini e bambine, sono costretti a cercare le pietre preziose con tecniche rudimentali e per puro sostentamento.
L’aiuto che viene chiesto da ActionAid per l’adozione a distanza di un bambino o una bambina è di 25 euro al mese (circa 80 centesimi al giorno). Della somma donata, l’80 per cento viene destinato ai progetti di sviluppo nella comunità dove vivono il bambino e la sua famiglia, mentre il restante 20 per cento viene impiegato da ActionAid per attività di sensibilizzazione, raccolta fondi e per coprire i costi di gestione. I progetti finanziati grazie alle donazioni riguardano principalmente la lotta alla povertà, l’istruzione, la salute e in generale i diritti dei bambini e delle donne.
Lo scopo di ActionAid non è solo quello di intervenire sui bisogni immediati dei bambini e delle famiglie, ma anche di costruire per queste persone un futuro migliore, così che da adulti siano in grado di portare un contributo di valore alla comunità in cui vivono, senza però creare una dipendenza economica. I progetti di ActionAid cercano infatti di avere impatto sui territori, e per questo sono progetti a medio e lungo termine. L’obiettivo ultimo dell’associazione è creare indipendenza e autosufficienza, ma anche partecipazione democratica e consapevolezza dei propri diritti in modo che anche quando ActionAid lascerà la comunità, i suoi membri saranno in grado di provvedere ai propri bisogni.
I progetti finanziati grazie alle donazioni riguardano principalmente la lotta alla povertà, l’istruzione, la salute e in generale i diritti dei bambini e delle donne. Adottando un bambino o una bambina si sceglie di sostenere una comunità, come ad esempio quella di Accra. Chi adotta verrà messo in contatto diretto con un bambino o una bambina di quella comunità e riceverà periodicamente fotografie, almeno una ogni anno, per poter seguire la sua crescita, due messaggi all’anno, con lettere e disegni, oltre ad aggiornamenti sulle attività che ActionAid realizza nel paese dove vive.
Immagine di copertina: Una bambina nella discarica di Agbogbloshie (ActionAid)