
Che cos’è l’economia sociale
E che ruolo hanno avuto le banche etiche nel suo recente sviluppo
La parola italiana “economia” deriva da quella greca 𝑜𝑖𝑘𝑜𝑛𝑜𝑚í𝑎 che significa letteralmente “gestione della casa”. Questo significato originale che fa riferimento all’amministrazione domestica si è ampliato nei secoli fino a comprendere la gestione di risorse su scala più ampia, come quelle di comunità via via sempre più grandi fino ad arrivare ai sistemi economici moderni, nazionali e globali. Nel suo significato originale c’è però un riferimento alla dimensione umana, familiare, di gestione delle risorse che si è progressivamente perso, anche nel linguaggio comune, talvolta a favore di un’economia intesa come ricerca del mero profitto.
C’è però chi negli ultimi decenni ha lavorato per sviluppare un’economia che funzioni secondo principi di utilità collettiva, partecipazione democratica ed equità. Si tratta della cosiddetta “economia sociale”, cioè quella di cui fanno parte cooperative, associazioni, fondazioni e imprese sociali che, a differenza delle imprese tradizionali che per lo più hanno come obiettivo principale la massimizzazione del profitto, mettono al centro le persone e le comunità, promuovendo servizi essenziali come l’assistenza, l’inclusione, il lavoro locale, il welfare territoriale, la cultura e lo sviluppo sostenibile.
L’economia sociale non è però qualcosa di completamente nuovo: si può far risalire la sua origine moderna in Europa all’Ottocento, con le prime cooperative operaie e agricole. C’è stato poi uno sviluppo graduale, con il consolidamento nel Novecento grazie allo stato sociale, alle politiche di welfare e alla crescita del cosiddetto terzo settore, cioè quello di enti privati non profit che hanno finalità sociali, e lavorano al di fuori dello Stato e della pubblica amministrazione (primo settore) e del mercato e delle imprese (secondo settore). L’economia sociale è diventata negli ultimi decenni un tema rilevante, tanto che nel 2021 la Commissione europea ha adottato un “Piano d’Azione per l’Economia Sociale”, con lo scopo di valorizzare e rafforzare il ruolo delle imprese sociali e delle cooperative, delle associazioni e organizzazioni non profit nell’economia dell’Unione. Proprio in questi giorni anche l’Italia su indicazione della UE sta lavorando al suo Piano Nazionale per l’economia sociale.

In questo contesto il 1° dicembre è stato presentato al Parlamento europeo l’8° Rapporto sulla Finanza Etica in Europa, Capital for the Common Good, che spiega che nel 2023 l’economia sociale in Europa comprendeva 4,3 milioni di organizzazioni, con un fatturato di 913 miliardi di euro e 11,5 milioni di lavoratori, pari a circa il 6,3 per cento della forza lavoro totale. Il rapporto è stato presentato da Fondazione Finanza Etica, Fundaciòn Finanzas Eticas e dalla Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative (Febea): tra questi enti c’è anche l’italiana Banca Etica, banca popolare cooperativa, fondata a Padova nel 1999 e attiva oltre che in Italia anche in Spagna. Banca Etica basa la sua attività su principi etici come la trasparenza, la sostenibilità ambientale, la responsabilità sociale e l’esclusione degli investimenti in settori controversi, come le armi, le fonti fossili e gli allevamenti intensivi.
Secondo il rapporto le banche etiche sono tra gli enti bancari che hanno investito più assiduamente nell’economia sociale. Hanno destinato più del 70 per cento dei loro prestiti a cooperative, mutue, associazioni e fondazioni, contro il 19 per cento delle grandi banche. Il rapporto spiega che le banche etiche sono più propense a concedere prestiti. Una buona parte di questo credito è stata concessa alle microimprese, alle cooperative e alle famiglie vulnerabili, spesso escluse dal credito tradizionale. Nonostante questo approccio, sempre secondo lo studio, le banche etiche mantengono indicatori patrimoniali, qualità del credito e redditività operativa comparabili a quelle delle banche di maggiori dimensioni. Nel 2023 inoltre le banche etiche in Europa hanno gestito 79 miliardi di euro di attivi, derivanti in misura maggiore rispetto alle grandi banche dai prestiti. I crediti deteriorati (cioè quelli che i debitori non riescono a rimborsare regolarmente) erano pari all’1,61 per cento, inferiori all’1,89 per cento delle banche tradizionali.
Sempre secondo il rapporto, le banche etiche hanno erogato prestiti con impatti positivi sociali o ambientali in una quota significativa, e hanno inoltre mostrato una forte diversità di genere nei ruoli apicali e applicato criteri di esclusione rigorosi riguardo a investimenti in armamenti, combustibili fossili o aziende che violano i diritti umani.
Il rapporto propone anche diverse raccomandazioni ai decisori politici per favorire la finanza etica e sostenere l’economia sociale. Le banche etiche chiedono alla politica di favorire lo sviluppo di strumenti di capitale adatti a microimprese e cooperative, evitando di basarsi esclusivamente sul credito, di semplificare e rendere accessibili le garanzie pubbliche e di coinvolgere direttamente le organizzazioni dell’economia sociale nella progettazione delle politiche finanziarie.
Oggi in Italia l’economia sociale rappresenta quasi il 9 per cento del Pil, con circa 428mila organizzazioni e quasi 2 milioni di occupati. Per quanto riguarda la situazione del credito per le associazioni e gli enti dell’economia sociale nel nostro paese, un recente studio di Banca Etica e Forum terzo settore, realizzato con AICCON e pubblicato il 19 novembre, mostra che il terzo settore è poco soddisfatto dei servizi bancari ricevuti, con solo il 41 per cento degli enti che valuta positivamente il rapporto con le banche. In questo contesto di difficoltà di accesso al credito per chi lavora nell’economia sociale, ulteriormente peggiorato dopo la pandemia da coronavirus, il rapporto spiega anche il ruolo di Banca Etica, che destina fino al 60 per cento dei finanziamenti a questo settore economico.
Immagine di copertina: Credits @Luca Gallo
